(Palermo, 19 maggio 1778 ̶ Malta, 12 maggio 1863)
Nato a Palermo nel 1778 da una famiglia nobile, Settimo si forma presso l’Accademia marina di Napoli, e diviene presto ufficiale della flotta borbonica, trovandosi coinvolto in numerosi episodi di lotta ai pirati barbareschi. Nel 1812, alla vigilia della “rivoluzione parlamentare” siciliana, abbandona la carriera militare e si dedica alla politica, consacrandosi in poco tempo come leader del partito liberale. È così che lord Bentick – delegato diplomatico del governo inglese e “ago della bilancia” della situazione isolana – lo chiama a guidare il Ministero di Guerra e Marina: Settimo accetta con entusiasmo, dimostrando una profonda abilità nello svolgimento del suo incarico, sino al momento delle dimissioni, che rassegna a marzo del 1813, quando il sovrano si reca sull’isola per assumere la direzione del governo.
L’attività politica di Ruggero si rafforza in occasione delle rivolte del biennio 1820-21: è allora che entra a far parte del governo provvisorio di Palermo, divenendo anche membro della Commissione incaricata di trattare con le squadre napoletane giunte sull’isola al comando di Bausan. Proprio da quest’ultimo si vede offrire l’incarico di Luogotenente generale per la Sicilia, che tuttavia rifiuta, mostrando con orgoglio la sciarpa gialla dell’indipendenza. Dopo la repressione dei moti, Ruggero sceglie di prendere le distanze dalla politica, senza tuttavia rinunciare ad alcuni incarichi di prestigio. Nel 1832 partecipa così alla Commissione Centrale di Salute Pubblica, e tre anni più tardi diviene membro onorario dell’Istituto di Incoraggiamento d’agricoltura, arti e manifatture per la Sicilia. Inoltre, si impegna con passione nella costruzione e organizzazione dell’Istituto agrario Castelnuovo. La sua posizione politica defilata non lo mette però al riparo dalla sorveglianza borbonica, né da alcune velate forme di “persecuzione”. Nel 1846, infatti, il consiglio provinciale di Palermo propone che una commissione speciale esegua un’inchiesta sul funzionamento del Castelnuovo, dolendosi del presunto stato di incuria in cui l’Istituto si trova ormai da anni: si tratta, insomma, di una chiara attestazione di sfiducia per l’operato di Settimo. Lui però non si scoraggia, e invia un reclamo ufficiale al Re, riuscendo a dimostrare il valore della sua gestione e ottenendo quindi l’immediata sospensione dell’inchiesta.
Intanto, il 1848 è alle porte: Ruggero partecipa al fermento che prelude all’incendio rivoluzionario, e dopo il 12 gennaio viene scelto come Presidente del governo siciliano, distinguendosi come uno dei promotori del decreto di decadenza della dinastia borbonica e organizzando la missione diplomatica incaricata di offrire ad Alberto Amedeo di Savoia la corona dell’isola.
Dopo la sconfitta della rivolta e l’arrivo di Filangieri, si imbarca per Malta, dove approda all’inizio di Maggio del 1849, accolto festosamente delle autorità britanniche presenti a Valletta. Sull’isola, diviene in fretta il punto di riferimento di tutta l’emigrazione moderata, ma anche il referente privilegiato degli esuli democratici, che gli riconoscono – salvo qualche eccezione – un prestigio ed una levatura morale che valicano gli angusti confini dell’ideologia politica.
Dopo l’unificazione, Settimo viene nominato membro del Parlamento. Gli viene anche offerta la Presidenza della Camera alta, alla quale rinuncia per l’impossibilità di lasciare Malta. In realtà, Ruggero non ha affatto rinunciato a rivedere la sua patria, e nel 1862 prova ad organizzare il suo rientro: è un nuovo aggravarsi della sua salute a rendere irrealizzabile il suo desiderio.
Proprio in quei mesi, si trova coinvolto in un violento scontro politico che lo riempie di amarezza. A Malta, infatti, viene indetta una sottoscrizione per i danneggiati del brigantaggio, alla quale Ruggero aderisce immediatamente. Il suo contributo scandalizza tuttavia il clero maltese e tutta la stampa cattolica, che non riconosce la legittimità del nuovo Stato italiano e considera i briganti strenui e valorosi difensori dei diritti della dinastia Borbonica sul Mezzogiorno d’Italia. Il vescovo di Valletta arriva a minacciare di privarlo della possibilità di accostarsi ai sacramenti, a meno che non riceva una smentita ufficiale in cui Settimo dichiari di non aver inteso ledere i sacri diritti del Pontefice riguardanti il potere temporale della Chiesa. Inizialmente, Ruggero rifiuta. Poi, acconsente a firmare una lettera in cui afferma di non aver voluto offendere in alcun modo la persona del Papa, restando fermo però sul proposito di non fare alcun cenno al suo potere temporale. A determinare la sua “resa” è la consapevolezza della fine imminente, ed il timore di non poter ricevere una degna sepoltura. Il suo presagio è fondato: si spegne solo qualche mese più tardi, il 12 maggio del 1863. Dopo i funerali solenni, celebrati nella cattedrale di Valletta, una nave da guerra trasporta il suo corpo a Palermo, dove viene collocato nella Chiesa di San Domenico, il Pantheon degli uomini illustri siciliani.