(Palermo, 11 luglio 1820 ̶ San Martino, 21 maggio 1860)
Quartogenito di Girolamo Pilo Riccio, conte di Capaci, Segreto del distretto di Palermo, e Antonia Gioeni Bonanno, Rosolino Pilo fu l’esule siciliano che più corrispose al ritratto di eroe romantico, diviso tra privati e pubblici tormenti, tra amor di patria e amour passion.
Dopo la morte del padre, venne destinato alla vita ecclesiastica, figlio cadetto di una nobile famiglia in ristrettezze economiche. Fu dunque inviato nel 1831 a Roma, dove fu allievo di padre Gioacchino Ventura, che influì nella formazione della personalità del ragazzo.
Tornato in Sicilia non si limitò a curare la gestione delle terre di famiglia, ma iniziò ad occuparsi di politica, indirizzando le proprie simpatie verso il mazzinianesimo, al quale venne introdotto dal cugino Giovanni Denti di Piraino.
Quando nel 1848 a Palermo scoppiò la rivoluzione entrò nel comitato di guerra, guidato da Giuseppe La Masa, con incarichi amministrativi, fece parte del governo provvisorio e, di fronte al fallimento della rivoluzione, fu tra i sostenitori di una difesa ad oltranza.
Nel 1849 si rifugiò a Marsiglia per scegliere poi come patria d’esilio Genova, dove divenne tra i più attivi corrispondenti del comitato mazziniano. Le sue missive giunsero a Malta, a Torino, a Marsiglia, a Parigi, a Londra, a Costantinopoli, oltre che in Sicilia, dove proprio in quegli anni nasceva il Comitato cospirativo centrale di Palermo.
A Genova non rinunciò ad un’attiva vita sociale: partecipò ai balli organizzati dalla Società del Casino, alle sottoscrizioni dei comitati di solidarietà per gli emigrati, ma soprattutto si innamorò di Rosetta Borlasca, moglie di Barnaba Agostino Quartara. Il dramma sentimentale di Pilo occupa largo spazio del suo epistolario del 1851. Ne scrisse a lungo all’amico Luigi Fabrizi, che coinvolse in qualità di padrino, nel momento in cui parve che, per risolvere la vicenda, sarebbe stato necessario un duello, mai sostenuto per l’intervento della polizia.
Le beghe cavalleresche non lo distolsero dalla cura delle questioni politiche. Nel 1857 dopo la fallita spedizione di Sapri, di cui era stato una delle menti organizzatrici insieme a Carlo Pisacane, fu costretto a lasciare Genova alla volta di Malta, dove si unì al comitato che ruotava intorno a Nicola Fabrizi e incontrò un vecchio amico dei tempi della rivoluzione quarantottesca, Giovanni Corrao, con cui nel 1858 iniziò a pensare ad un attentato a Napoleone III, missione che, per motivi imprecisabili, non venne mai condotta a termine.
Nell’agosto 1859 dopo l’armistizio di Villafranca da Londra raggiunse a Firenze Mazzini, che gli affidò il compito di fare da corriere, portando cinque importanti lettere a Bologna. Venne arrestato e solo grazie all’intervento di Garibaldi fu rilasciato, ma con l’obbligo di varcare il confine svizzero. Quando da Lugano a metà dicembre tornò a Genova, tra gli esuli non si parlava che della possibilità di uno sbarco in Sicilia: presupposto imprescindibile sarebbe stato però lo scoppio di una scintilla rivoluzionaria sull’isola. Pilo si mise subito all’opera per spronare i compatrioti siciliani promettendo di intercedere per l’intervento di Garibaldi, una volta iniziata l’insurrezione. La notizia della rivolta della Gancia giunse a Genova il 7 aprile quando Crispi era già in viaggio con Corrao verso l’isola. Giunsero a Messina il 9 aprile: il moto era stato ormai represso, ma bande di ribelli infiammavano le campagne. I cospiratori che si erano incamminati verso Palermo, lungo il percorso le aizzavano e giunti il 20 aprile a Piana dei Greci riorganizzarono le squadre che si erano date alla fuga dopo la sconfitta subita il 18 aprile a Carini. Iniziarono ad arruolare volontari e radunarono più di mille uomini. Il 12 maggio seppero che a Marsala era sbarcato Garibaldi e il 17 maggio ricevettero una lettera in cui il Generale, annunciandogli la vittoria di Calatafimi, li invitava a svolgere soltanto azioni di disturbo a vantaggio dei Mille, ostacolando e tagliando i rifornimenti al nemico. Sui monti di San Martino, dove si spostarono per dirigere la guerriglia vennero sorpresi dalle truppe borboniche. Pilo venne ucciso. Era il 21 maggio 1860. Così Francesco Crispi raccontò degli ultimi istanti dell’amico a Nicola Fabrizi: «In uno scontro presso Monreale, e propriamente sui monti che il dominano, abbiamo perduto il nostro impareggiabile Rosalino. Mentre incoraggiava a guidare alla pugna alquanti uomini della squadra sotto i suoi ordini, una palla lo colpì al capo, e cadde senza poter proferire parola. In cinque minuti il rantolo di morte ne annunziava la fatalissima fine. Calvino fu presente al triste caso. Perdita irreparabile, a che non posso ricordare senza gemerne! – Basta: facciamo il nostro dovere: chi sa, se da un momento all’altro ci potrà toccare la stessa sorte!». Il 19 luglio un decreto del governo dittatoriale garibaldino stabilì che l’esecuzione dei suoi funerali si sarebbe svolta a spese dello Stato.