Dal 1415 al 1715 la Sicilia si trova sotto la dominazione spagnola, sono secoli di profonde trasformazioni urbanistiche atte ad esaltare il prestigio iberico. L’opera più importante simbolo della Palermo barocca è Piazza Vigliena.
La croce viaria al centro della quale si trova la piazza determina l’orgoglio cittadino esaltando la bellezza della Palermo rinnovata che, durante la rigogliosa stagione barocca, moltiplica i monumenti lungo il Cassaro.
Nel 1600, sotto la direzione del viceré Bernardino di Cardines duca di Maqueda, fu ricavata una strada dritta tra i vecchi quartieri della città, incrociando il Cassaro ad angoli retti. Questa nuova strada, chiamata Maqueda, alterava il vecchio assetto urbano; invece di cinque quartieri, ora, ve ne erano solo quattro, detti, mandamenti, ai quali diedero il nome le sante patrone della città: Oliva (Loggia o Castellammare), Agata (kalsa o Tribunali), Ninfa (Capo o Monte di Pietà), Cristina (Albergheria o Palazzo Reale). Il riassetto urbanistico di Palermo, che coincise con quello di Roma, fu il risultato di due distinte forze sociali che operarono nell’isola nel Cinquecento e nei primi decenni del Seicento: la trasformazione della nobiltà feudale dell’isola in aristocrazia di corte e l’arrivo in Sicilia da Roma degli ordini religiosi della Controriforma. L’incrocio tra il Cassaro e via Maqueda, o Strada Nuova, come fu comunemente chiamata fino a buona parte del Settecento, ai Quattro Canti è chiaramente ispirato a quello tra via Felice e via Pia alle Quattro Fontane a Roma, voluto da Sisto V. Alla fine del Cinquecento Palermo aveva visto la realizzazione dell’ingrandimento e del prolungamento del Cassaro, la via che collegava le sedi del potere vicereale ed ecclesiastico (Palazzo Reale e Cattedrale) a Piazza Marina (sede dell’Inquisizione) e al mare e l’avvio dell’apertura di via Maqueda. Questa, a partire dal 1609, procedeva alla sistemazione del crocevia degli assi viari, formando i cosiddetti Quattro Canti, o ottangolo per il suo impianto geometrico, o Teatro del Sole, poiché dall’alba al tramonto il sole illumina almeno una quinta architettonica.
L’apertura della via Maqueda rappresenta uno dei progetti più importanti dell’urbanistica europea secentesca che adatta la città allo spazio teatrale del Barocco. Giovanni Fernandez Paceco, marchese di Vigliena, viceré dal 1607 al 1610, concepì “che si fabbricasse – scrive lo storico Giovanni Evangelista Di Blasi (1720-1812) – nella forma ottangolare, cioè che con simmetria si innalzassero in pari distanza quattro facciate dello stesso disegno e con gli ornamenti, che sì son detti a guisa, che al dì d’oggi so osservano, ed attirano l’ammirazione degli stranieri”. Il progetto iniziale, fu concepito dall’architetto Giulio Lasso e portato a compimento, nel 1620, da Mariano Smiriglio. Il piano iconologico dell’opera fu elaborato dall’erudito Filippo Paruta ed esprime la profonda compenetrazione tra la sfera umana e quella divina, anche sul piano numerico: il quattro è il numero dell’uomo (le stagioni, gli elementi, le età), il tre (gli ordini sui quali si articolano i quattro retabli) è un chiaro rimando alla Trinità. Ogni facciata dei Quattro Canti ha, nell’ordine inferiore, una fontana, le quattro stagioni e gli elementi( terra, fuoco, aria, acqua). L’ordine mediano accoglie, entro delle grandi nicchie, le statue dei sovrani spagnoli Carlo V, Filippo II, Filippo III e Filippo IV; il terzo ordine ha delle analoghe nicchie che accolgono le statue delle sante patrone di Palermo. L’antico splendore dell’opera è stato riportato alla luce dal restauro del 2001.
La celebrazione della Spagna nel monumento a Filippo IV disposto come un “teatro”, un vero e proprio apparato scenico, nel gusto tipico del Barocco nel “Piano del Palazzo”, assume la duplice valenza di esaurimento del sogno della monarchia universale e del mantenimento di quella che si può definire la pax hispanica.[1]
Nell’epica eroica dell’età barocca spicca, nel 1670, in Sicilia, il Pelagio ovvero la Spagna riacquistata, di Giuseppe Galeano, scritto in concomitanza con il teatro dei re (1661): monumento e poema entrambi accomunati nell’omaggio alla Spagna, al suo passato di lotta contro gli infedeli e, insieme, auspicio di pace nell’utopia della monarchia universale.
La costruzione delle nuove grandi chiese barocche si svolge in contemporanea allo svolgimento di feste, processioni rituali e cerimonie pubbliche: Gesuiti, Teatini, Crociferi, Filippini, Domenicani, Francescani e Cappuccini creano chiese e conventi, vivificano l’economia cittadina, conferiscono slancio e creatività ad una fede rinnovata che coinvolge e struttura la vita della Palermo Secentesca. I Gesuiti, protetti dall’amministrazione vicereale spagnola, avevano un’organizzazione edilizia propria. Uno splendido esempio è la Chiesa del Gesù, detta Casa Professa, l’interno mostra la spazialità grandiosa caratteristica delle chiese gesuitiche con le tre navate, divise da solidi pilastri, che si dilatano ulteriormente nelle profondissime cappelle laterali intercomunicanti. Quello che più colpisce è il tripudio della decorazione a marmi mischi che si trovano in tante altre chiese palermitane. Nella chiesa dell’Immacolata Concezione al Capo la sensibilità cromatica e plastica del barocco palermitano tocca le corde più alte del suo repertorio attraverso un alternarsi di marmi mischi e tramischi, di notevolissima fattura sono anche quelli della Chiesa di Santa Caterina di Alessandria, dell’oratorio del SS. Salvatore, della cappella Sperlinga della Chiesa di San Domenico, di quella dell’Immacolata in San Francesco e di quella del Crocifisso del Duomo di Monreale. La decorazione delle chiese prevedeva la rappresentazione di mascheroni, erme, figure muliebri, angeli, putti, fiori e frutta. I marmi colorati impiegati erano siciliani: i rossi di San Vito Lo Capo, Taormina, San Marco d’Alunzio, Sant’Agata e Galati, il libeccio e la breccia di Trapani, i gialli di Castronovo, i grigi di San Vito Lo Capo, San Marco e Frazzanò. Le pietre dure impiegate erano il calcedonio rosso e marrone, i diaspri rossi e le agate policrome; l’insieme di queste pietre locali e quelle importate come il bianco di Carrara, il nero portoro di La Spezia, il verde Alpi o di Issoria e le pietre azzurre di Venezia formavano le meravigliose tarsie marmoree piane e a rilievo.
Un unicum nel panorama barocco è la cupola, realizzata da Angelo Italia, della Chiesa del Carmine con dei grandi telamoni collocati al posto delle paraste o delle colonne sul tamburo.
Famosi architetti del Senato palermitano furono Paolo Amato (1634-1714) autore dell’Oratorio del SS. Salvatore e del campanile di San Giuseppe dei Teatini e Giacomo Amato (1643-1732), quest’ultimo autore dei progetti per le chiese di S. Teresa alla Kalsa (1688-1723) e di Santa Maria della Pietà (1688-1723).
La residenza aristocratica è l’esempio principale dell’architettura civile barocca siciliana. Vennero costruiti anche edifici pubblici, palazzi cittadini, sedi di istituzioni scolastiche non religiose. Il tipo edilizio adottato per il palazzo è quello bloccato con cortile interno della tradizione italiana. L’uso del balcone rispetto alla finestra è tipico dell’architettura mediterranea. Esempi sono palazzo Cutò, palazzo Cattolica, palazzo Butera, palazzo Valguarnera-Ganci, palazzo Comitini, palazzo Santacroce. Gli ingressi sono quasi sempre caratterizzati da portali con colonne libere, sulla parete le lesene contrassegnano le zone centrali e quelle esterne, caratteristici i balconi con la ringhiera a petto d’oca.
[1] Per lo studio del monumento è di fondamentale importanza F. Strada, Dichiaratione del nuovo teatro che l’illustr. Senato di questa felice città di Palermo drizzò alla invittissima maestà del re Filippo IV il grance nella piazza del palazzo Reale in Palermo, Palermo 1663; cfr. M. La Barbera, Il Teatro dei re, in Interventi sulla «questione meridionale». Saggi di Storia dell’Arte, a cura del Centro di Studi sulla civiltà artistica dell’Italia meridionale «Giovanni Previtali», Roma 2005, pp. 207-211.