Palazzo Chiaromonte
a cura della prof.ssa Marina La Barbera
“Magnifica famiglia, quella dei Chiaromonte. Troppo occupata a guerreggiare e a congiurare, troppo in gara coi re”, così Leonardo Sciascia[1] scriveva riguardo alla famiglia che ha dato impulso ad un vero e proprio stile architettonico a partire dal palazzo Chiaromonte di piazza Marina chiamato più comunemente Steri(da hosterium magnum). Lo scrittore, riferendosi all’imponente costruzione scrive che la mole architettonica del palazzo e al suo interno il soffitto dipinto della Sala Magna sono il documento storico più completo e autentico sui Chiaromonte”[2].
Il palazzo fu voluto, a partire dal 1306, da Giovanni Chiaromonte il Vecchio, Ammiraglio e Gran Giustiziere del Regno Aragonese, in seguito venne modificato dagli eredi fino a quando, nel 1392, Andrea fu decapitato e la famiglia subì la confisca dei beni. Divenne poi residenza regia con il re Martino I, vi ebbero sede i Vicerè di Sicilia fino al 1517 e dal 1601 al 1782 ospitò il Tribunale dell’Inquisizione, al Sant’Uffizio venne dedicata un’ampia sede.
Nell’Ottocento, dopo varie istituzioni borboniche, fu riadattato a tribunale. Durante i restauri compiuti nei primi anni del Novecento Giuseppe Pitrè riuscì a salvare i graffiti dei prigionieri decifrando, sotto diversi strati di intonaco, figure, disegni, versi ed iscrizioni. Le pareti raccontano storie di carcerati che, probabilmente, vissero rinchiusi per mesi o anni, in attesa di finire sul rogo.
Quello che si può osservare nelle carceri testimonia la disperazione e la sofferenza dei prigionieri, si trovano scritte in italiano, in dialetto, in latino e in inglese. Leonardo Sciascia si ispirò ai graffiti dello Steri per il romanzo Morte dell’Inquisitore, in cui racconta l’omicidio di Jaun Lopez de Cisneros ad opera di Diego La Matina.
Dal 1973 il palazzo è sede del Rettorato dell’Università di Palermo ed ospita la splendida Vucciria di Renato Guttuso, realizzata nel 1974 ed esposta oggi nella Sala delle Armi.
L’edificio è a pianta quadrata con cortile interno, con portici a piano terra e logge su più piani. Gli Aragonesi che subentrarono ai Chiaromonte ampliarono l’edificio del piano nobile invece di continuare la sopraelevazione.
L’impianto della costruzione, simbolo del potere raggiunto dalla famiglia Chiaromonte, costituirà il modello di riferimento per l’architettura di molti palazzi nei secoli successivi che sorgeranno nello stesso quartiere, come Palazzo Abatellis e Palazzo Ajutamicristo.
In occasione dei restauri del 1973 sono stati condotti degli scavi archeologici che hanno portato alla luce una ricca e complessa stratificazione, testimonianza di quattro fasi antecedenti la costruzione del complesso trecentesco. Gli strati sono caratterizzati da un’importante presenza di ceramica di produzione siciliana del XIV secolo, ma anche di pezzi provenienti dalla Spagna, dall’Oriente e dall’Italia centro-settentrionale. La maiolica chiaramontana è caratterizzata da singoli motivi araldici dipinti in bruno sul fondo interno dei vasi aperti, si sono trovate anche iscrizioni in caratteri ebraici.
Il vasellame trovato è testimonianza delle diverse tipologie di tavole, differenziate a seconda dei diversi tessuti sociali, così come si può vedere anche in alcune scene raffiguranti dei banchetti nel soffitto della Sala Magna.
Molti di questi materiali oggi sono esposti al Museo Archeologico “Antonio Salinas” di Palermo.
Il soffitto dipinto
Il soffitto ligneo dipinto della Sala Magna dello Steri è stato voluto da Manfredi III Chiaromonte, il programma iconografico esalta la figura del committente attraverso riferimenti letterari e un continuo richiamo alla nobiltà e alla cavalleria.
Le pitture furono realizzate tra il 1377 e il 1380 da Cecco di Naro, Simone da Corleone e Pellegrino De Arena di Palermo e da altri pittori di cui non si conosce l’identità. Il soffitto è costituito da ventiquattro travi a sezione rettangolare sostenute, agli estremi, da mensole. Gli intervalli tra una trave e l’altra danno origine a profonde incassature rettangolari, aventi ciascuna, nel mezzo, cinque piccoli componimenti rettangolari, anch’essi incassati.
L’uso di dipingere i soffitti delle chiese e di abitazioni signorili ebbe, in Sicilia, una grande diffusione. Numerosi soffitti decorati si trovano in Spagna e presentano grandi somiglianze con quelli siciliani trecenteschi. L’origine di questo genere di coperture è orientale, i Mori lo introdussero in Spagna e in Sicilia quest’uso fu introdotto dai Saraceni. La struttura a mensola dei soffitti su cui poggiano le teste delle travi è però un’elaborazione tipicamente siciliana.
Il Bottari ritiene che “siamo di fronte a un magnifico monumento di pittura popolare, non già nel senso che quei pittori vengono dal popolo e adoperano un linguaggio popolare, ma per il suo particolare tono”[3] e Gianfranco Folena definisce il ciclo iconografico del soffitto “un vero speculum historiale e summa figurativa di tutta la letteratura romanzesca del Medioevo, opera forse unica nella cultura romanza e certo il complesso pittorico più originale del Trecento”[4].
Le pitture del soffitto si rifanno ai romanzi arturiani, al ciclo carolingio e alla rivisitazione medievale del mito classico, vi sono inoltre esempi biblici emblematici; si potrebbe definire un’antologia della cultura cortese-cavalleresca ma anche una raccolta di exempla utili per illustrare la disputa medievale sulla moralità dei comportamenti femminili.
Il Giudizio di Salomone, la storia di Susanna e la storia di Elena di Narbona hanno come motivo conduttore l’inganno e il corretto esercizio della giustizia.
Le storia di Giuditta e di Tristano e Isotta trattano l’astuzia femminile e la fragilità dell’uomo.
Aristotele cavalcato dalla cortigiana è espressione della debolezza dell’uomo davanti alle tentazioni.
Le raffigurazioni tratte dal ciclo troiano ( Giasone e Medea, Elena e Paride, la cattura di Esiona, il sacrificio di Ifigenia) ricordano episodi noti in età medievale in cui le protagoniste sono le donne.
Le rappresentazioni in cui predomina il ruolo femminile sono in numero maggiore rispetto a quelle raffiguranti le virtù cavalleresche e il ruolo specificamente maschile.
Il tema della castità è presente tramite la personificazione dell’unicorno. Nelle storie di San Giorgio e Davide o in quelle di David e Betsabea e di Didone sono esaltate le virtù e il coraggio cavalleresco. Attraverso la storia di Evilmeredac viene condannata la brama di potere e l’ambizione umana.[5]
Il vertice finale si tocca nella storia ricavata dall’Apocalisse di Giovanni che è l’ultima sequenza figurata del ciclo, in cui viene esaltata la figura della Madonna contrapposta alla grande meretrice e la perfezione della Gerusalemme celeste a cui deve aspirare l’umanità.
Tra gli emblemi ricorrenti, oltre a quelli dei Chiaromonte e dei Ventimiglia, ne troviamo due legati al luogo: la rosa, simbolo del quartiere della Kalsa e la croce dei Teutonici, infatti i Chiaromonte erano protettori dei Cavalieri di Santa Maria in Gerusalemme; ancora oggi troviamo il “vicolo della rosa” tra lo Steri e Palazzo Abatellis.[6]
Posta al confine tra le ultime manifestazioni dell’arte ispano-moresca e le prime del gotico internazionale, l’opera si potrebbe inserire nel momento di formazione di quello che Huizinga definì l “Autunno del Medioevo”. I dipinti del soffitto sono uno specchio della società del tempo, attraverso la loro lettura possiamo avere un’idea dei costumi, delle usanze e della moda del XIV secolo[7].
[1] L. Sciascia, La contea di Modica, in Fatti diversi di Storia letteraria e civile, Palermo 1989.
[2] L. Sciascia, Lo Steri dei Chiaromonte, lo Steri dei re: una metamorfosi incompleta, in M.R. Nobile – L.Sciascia, Lo Steri di Palermo tra XIV e XV secolo, Palermo 2015, p. 37.
[3] S. Bottari, Lo Steri e le sue pitture, in I miti della critica figurativa, Messina-Firenze, 1936 (Appendice, I).
[4] G. Folena, Introduzione a La istoria di Eneas vulgarizata per Angilu di Capua, Palermo 1956, pp. 13-15.
[5] N. Bonacasa, Regesto dei cicli figurativi del soffitto della Sala Magna dello Steri, in M. C. Di Natale-M. R.Nobile-G. Travagilato (a cura d), Chiaromonte. Lusso, politica, guerra e devozione nella Sicilia del Trecento. Un restauro verso il futuro, Palermo 2020, pp-321-330.
[6] G. Travagliato, Un monte in cinque colline. La figurazione araldica del soffitto della Sala Magna chiaramontana ne “La Cartagine Siciliana di Agostino Inveges e nel manoscritto Armi depinte nel tetto della Scala del Stiero di Vincenzo Auria, in M. C. Di Natale-M. R.Nobile-G. Travagliato (a cura d), Chiaromonte. Lusso, politica, guerra e devozione nella Sicilia del Trecento. Un restauro verso il futuro, Palermo 2020, p.131.
[7] La Barbera Marina, Il costume e la moda nella Palermo dei Chiaromonte, in M. C. Di Natale-M. R.Nobile-G. Travagliato (a cura d), Chiaromonte. Lusso, politica, guerra e devozione nella Sicilia del Trecento. Un restauro verso il futuro, Palermo 2020, pp-321-330.