Dal Settecento alla Sinistra Storica

a cura della dott.ssa Alessia Facineroso

 

Nel Regno borbonico della metà del Settecento il sistema della carità era affidato ad istituzioni per mezzo delle quali le classi dirigenti erano riuscite a creare forme di assistenza aperte ai ceti popolari, aumentando così la loro capacità di presa e di influenza sulla società. Almeno fino al 1741 questi istituti erano comunque rimasti sotto il controllo di fatto del clero locale, e solo saltuariamente la monarchia era intervenuta con delle elargizioni o elemosine, quasi alla stregua di un benefattore privato. Il primo tentativo di unificare la legislazione sulle opere pie fu rappresentato dal Concordato fra Stato e Chiesa del 1741, che divise il destino delle fondazioni pie con fini di culto e di quelle con scopi caritatevoli: le prime rimasero sotto la giurisdizione ecclesiastica, mentre le seconde vennero affidate ad un Tribunale misto formato da laici ed esponenti del clero.

 

Alla fine del ‘700, inoltre, cominciò a delinearsi con forza un ulteriore ed inedito protagonismo da parte dello Stato, che cominciò a gestire direttamente alcuni istituti: soprattutto a partire dal 1783 la politica anti-baronale del viceré Caracciolo ebbe come conseguenza diretta la riorganizzazione delle confraternite, la sottrazione delle opere pie al controllo ecclesiastico e l’estensione del controllo pubblico sulla beneficenza privata, cui corrispose la riduzione delle aree di immunità e di privilegio.

 

Dopo la Restaurazione si ebbe una nuova ondata di produzioni normative sul tema della solidarietà privata, che stravolse soprattutto il contesto siciliano, fino a quel momento fermo alle modifiche del 1741: un decreto del 14 settembre 1815 soppresse infatti i consigli degli ospizi, ristabilendo le amministrazioni individuali delle Opere Pie. Tali deliberazioni furono in parte vanificate dal successivo provvedimento del 1° febbraio 1816, che ricostituì il Consiglio Generale degli Ospizi e la rete delle commissioni amministrative provinciali, mentre nel gennaio 1819 vennero compilate le Istruzioni per la regime degli Ospizi del Regno, seguite, a maggio, da quelle Per l’amministrazione degli stabilimenti di beneficienza e dei Luoghi pii Laicali del Regno.

 

Il 15 settembre 1823 fu emanato inoltre un Regolamento per lo governo interno dei conservatorij e ritiri di donzelle, con il quale l’amministrazione degli ospizi veniva affidata da un lato agli organi del Ministero dell’Interno, dall’altro ad un consiglio specifico per ogni opera, formato da un soprintendente e da due o più governatori. L’influenza ecclesiastica, comunque, non venne abolita del tutto: la gestione morale di quasi tutte le istituzioni spettava infatti alla Chiesa, e molti istituti di riabilitazione morale delle donne erano affidati ai vescovi. Con una serie di decreti tra il 1832 ed il 1857 i vescovi riuscirono, per di più, ad ottenere maggiori poteri all’interno dei consigli e porzioni più ingenti delle rendite degli istituti.

 

Nel Regno delle Due Sicilie, tuttavia, questo tipo di istituzioni non erano le sole ad occuparsi della solidarietà: c’erano infatti anche enti ed istituti pubblici di beneficenza ed assistenza, e per di più le opere pie erano sottoposte al pagamento di un contributo proporzionale per provvedere alle loro spese, il “ratizzo”. In Sicilia, fin dal 1834 erano stati fondati tre regi ospizi (Messina, Catania e Palermo), mentre nel 1853 essi erano stati estesi anche alle altre province dell’isola, con la condizione che il numero di ricoverati fosse limitato a quanto il ratizzo potesse provvedere. All’indomani della spedizione dei Mille un decreto prodittatoriale del 27 agosto 1860 rinnovò la composizione dei Consigli generali degli Ospizi eliminandone la rappresentanza ecclesiastica, mentre il 17 febbraio 1861 vennero abolite tutte le disposizioni emanate dal momento della Restaurazione, affermando l’ingerenza dell’autorità civile nell’amministrazione delle opere pie, ed abolendo quella dei vescovi e degli ecclesiastici in genere.

 

Nel 1861 Bettino Ricasoli avanzò la proposta di estendere provvisoriamente a tutta l’Italia la legge piemontese del 1859 anche nel campo della beneficenza e dell’assistenza, incontrando tuttavia le resistenze della Sinistra, che insisteva per una loro laicizzazione. La Destra si opponeva però a tale programma, sostenendo la necessità di garantire la libertà dei privati nel settore. Si arrivò così alla legge del 3 agosto 1862, che sancisce una gestione liberistica degli enti e una forte riduzione dei controlli pubblici.

 

 

 

Legge 3 agosto 1862

 

VITTORIO EMANUELE II PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D’ITALIA

Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato;

Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue:

 

Art. 1.

Sono Opere pie soggette alle disposizioni della presente legge gli Istituti di carità e di beneficenza, e qualsiasi ente morale avente in tutto od in parte per fine di soccorrere alle classi meno agiate, tanto in istato di sanità che di malattia, di prestare loro assistenza, educarle, istruirle od avviarle a qualche professione, arte o mestiere.

 

ART. 2.

Sono pure soggetti alle disposizioni della presente legge gli istituti di carità e beneficenza, quand’anche abbiano oltre a ciò uno scopo ecclesiastico o siano retti nella parte economica da persone o corporazioni ecclesiastiche si regolari che secolari, o siano fondati ad esclusivo favore di persone che professano un culto tollerato.

Negli Istituti di natura mista, le persone o corporazioni ecclesiastiche si regolari che secolari, le quali hanno il governo di tali istituzioni, dovranno tenerne un’amministrazione distinta ed operarne la separazione dei redditi, ed anche del patrimonio nel modo che sarà riconosciuto più utile ed opportuno.

 

Art. 3.

Non entrano nel novero delle Opere pie comprese nei precedenti articoli i comitati di soccorso e le altre istituzioni mantenute per mezzo di temporanee obbligazioni di privati, né le fondazioni di amministrazione meramente privata amministrata da privati o per titolo di famiglia, e destinate a prò di una o più famiglie certe e determinate, nominativamente indicate dal fondatore.

 

 

DELL’AMMINISTRAZIONE DELLE OPERE PIE

 

Art. 4.

L’amministrazione delle Opere pie è affidata ai corpi morali, consigli, direzioni collegiali o singolari, instituiti dalle rispettive tavole di fondazione o dagli speciali regolamenti in vigore o da antiche loro consuetudini.

Quando venga a mancare l’amministrazione di un’Opera pia, e non dispongano sufficientemente in proposito gli statuti o regolamenti speciali, sarà provveduto con Decreto Reale, sentita la Deputazione provinciale.

 

Art. 5.

Le norme da osservarsi per le nomine e rinnovazioni dei membri delle amministrazioni, per la regolarità delle adunanze e per la validità delle loro deliberazioni, sono determinate dai rispettivi statuti o regolamenti.

 

Art. 6.

Non potranno assumere l’ufficio di amministratore di un’Opera pia, e ne decadanno quando lo avessero assunto, coloro i quali non abbiano reso il conto di una precedente amministrazione, e coloro che abbiano lite vertente coll’Opera medesima.

Gli ascendenti e discendenti, i fratelli, il suocero ed il genero non potranno essere contemporaneamente membri della stessa amministrazione.

 

Art. 7.

Gli amministratori non possono prender parte alle deliberazioni riguardanti ad interessi loro propri o dei loro congiunti ed affini sino al quarto grado civile, ovvero ad interessi di altri stabilimenti soggetti alla loro amministrazione e vigilanza.

Non potranno pure prendere parte, direttamente o indirettamente, a contratti di locazione, di esazione e di appalti che si riferiscano alle Opere pie da essi amministrate o sorvegliate.

 

 

DEL REGIME ECONOMICO E DELLA CONTABILITÀ DELLE OPERE PIE

 

Art. 8.

Le Amministrazioni delle Opere pie dovranno avere un esatto inventario di tutti gli atti, documenti, registri ed altre carte che costituiscano il loro archivio, e di tutti i beni mobili ed immobili ad esse spettanti. Quest’inventario, tenuto sempre in corrente per le variazioni, sarà riscontrato in contraddittorio quando avvengano cambiamenti di amministrazione.

 

Art. 9.

Due copie autentiche in carta libera dell’inventario e delle aggiunte e modificazioni successive, di cui all’articolo precedente, saranno trasmesse al Prefetto della Provincia. Il prefetto ne riterrà una copia e spedirà l’altra al Ministero dell’Interno.

 

Art. 10.

Le amministrazioni dovranno formare ogni anno il bilancio presunto ed il conto consuntivo del proprio Istituto.

Il conto consuntivo annuo dovrà mostrare distintamente l’entrata e l’uscita di cassa, le rendite e le spese, lo stato attivo e passivo colle sopravvenute mutazioni.

 

Art. 11.

Le Opere pie che possiedono rendite fisse avranno un Tesoriere. 

Uno stesso Tesoriere potrà servire simultaneamente a diverse Opere pie esistenti nel Comune medesimo. 

Gli Esattori delle contribuzioni potranno essere Tesorieri delle Opere pie esistenti nei Comuni del loro Distretto.

I Tesorieri dovranno prestare idonea cauzione nei modi e per l’ammontare che verrà determinato con apposita deliberazione delle rispettive Amministrazioni.

 

Art. 12.

Le disposizioni delle leggi relative al modo di riscossione delle rendite comunali saranno applicabili alla riscossione di quelle delle Opere pie.

 

Art. 13.

Le alienazioni, locazioni ed altri simili contratti, appalti di cose od opere, il cui valore complessivo e giustificato oltrepassa le lire cinquecento, si fanno all’asta pubblica colle forme

stabilite per l’appalto delle opere dello Stato.

La Deputazione provinciale però potrà permettere che i contratti seguano a licitazione o trattativa privata.

 

Art. 14.

Ogni Opera pia è posta sotto la tutela della rispettiva Deputazione provinciale.

 

Art. 15.

Sono approvati dalla Deputazione provinciale:

1° I regolamenti

2° I conti consuntivi, salvo il disposto dell’art 19; quando una parte delle spese ordinarie del pio Istituto è a carico della Provincia, debbono essere approvati anche i bilanci; 

3° I contratti d’acquisto o d’alienazione d’immobili, l’accettazione o rifiuto di lasciti o dono, salve, per ciò che riguarda beni stabili, le disposizioni della legge 5 giugno 1850 relativa alla capacità di acquistare dei corpi morali, che sarà pubblicata nei nuovi territori;

4° Le deliberazioni che importano trasformazione o diminuzione ddi patrimonio o che impegnano le Opere pie a iniziare liti non riguardanti l’esazione delle rendite;

5° I regolamenti che determinano i rapporti e le norme di operare di diversi Istituti che avendo uno scopo analogo intendono di unire le loro amministrazioni, tenendole però distinto il rispettivo patrimonio.

 

Art. 16.

L’approvazione di cui all’articolo precedente risulta dal visto del Presidente della Deputazione.

Il rifiuto d’approvazione dovrà essere motivato.

 

Art. 17.

La Deputazione provinciale, prima di concedere o negare l’approvazione delle deliberazioni, può ordinare le indagini che ravvisi indispensabili, od anche commettere a periti di esaminare i progetti d’opere e verificare se la spesa non ecceda i confini previsti.

 

Art. 18.

Contro le decisioni della Deputazione provinciale l’Amministrazione di ogni Opera pia potrà ricorrere al Re, che provvederà previo parere del Consiglio di Stato.

Nella stessa guisa sarà statuito sulla rappresentanza del Prefetto contro le decisioni predette.

 

 

DELL’INGERENZA GOVERNATIVA NELL’AMMINISTRAZIONE DELLE OPERE PIE.

 

Art. 19.

Sono approvati dal Ministero dell’Interno i bilanci e conti degli Istituti, quando una parte delle spese ordinarie dei medesimi è a carico dello Stato.

 

Art. 20.

Il Ministero dell’Interno invigila al regolare andamento delle Amministrazioni delle Opere pie, ed ove occorra, anche per mezzo di speciali Delegati ne esamina le condizioni, e riconosce se vi sono osservate le leggi, gli statuti ed i regolamenti che le concernono.

Invigila pure gli Istituti indicati all’articolo 5 per l’adempimento degli obblighi assunti e per impedire ogni abuso della confidenza pubblica.

 

Art. 21.

Quando l’Amministrazione, dopo di esservi stata eccitata, non si conformi agli statuti e regolamenti dell’Opera affidatale, o non compia alle obbligazioni che le sono imposte dalle leggi e dai regolamenti generali o ricusi di provvedere nell’interesse dell’Opera, potrà essere disciolta per Decreto Reale, sentita la Deputazione provinciale e previo parere del Consiglio di Stato.

Col Decreto di sospensione e di scioglimento sarà provveduto alla temporanea amministrazione, e quando ne sia il caso alla ricostruzione della medesima a termini dell’art. 4.

 

Art. 22.

I Prefetti e Sottoprefetti potranno in ogni tempo far procedere allla verificazione dello stato di cassa dei Tesorieri e Contabili delle Opere pie.

 

Art. 23.

Quando venisse a mancare il fine di un’Opera pia, o al suo fine più non corrispondessero gli statuti, l’amministrazione o la direzione dell’Opera medesima, il fine potrà essere mutato, e gli statuti, le amministrazioni e le direzioni riformate, in modo però da allontanarsi il meno possibile dalle intenzioni dei fondatori e colle norme determinate dal seguente articolo.

 

Art. 24.

La domanda per le riforme dovrà essere iniziata dai Consigli comunali o provinciali, secondo che l’istituzione riguarda gli abitanti del Comune o della Provincia.

Essa dovrà riunire la metà più uno dei voti dei componenti il Consiglio.

Il Prefetto accoglierà tutti i ricorsi degli interessati.

La dimanda dei Consigli, insieme a tutti i ricorsi e al voto della Deputazione provinciale, sarà portata al Consiglio di Stato.

Sul parere favorevole del Consiglio, il Ministro dell’Interno potrà sottoporre a Decreto Reale le opportune modificazioni.

 

Art. 25.

La costituzione di nuovi Istituti di carità e beneficenza aventi una speciale amministrazione sarà fatta per Decreto Reale, previo parere del Consiglio di Stato, ancorché tale costituzione si faccia per mezzo di sottoscrizioni o di associazioni volontarie.

Nel relativo Decreto Reale possono essere in tutto od in parte dispensati dagli obblighi e dalle formalità prescritte dalla presente legge i fondatori degli Istituti medesimi che ne ritengano personalmente l’amministrazione.

 

 

DALLE CONGREGAZIONI DI CARITÀ

 

Art. 26.

In ogni Comune dello Stato vi sarà una Congregazione di carità.

 

Art. 27.

Le Congregazioni di carità saranno composte di un Presidente e di quattro membri nei Comuni la cui popolazione non eccede i 40000 abitanti, e di otto membri, oltre al Presidente, negli altri.

Per decisione del Prefetto potrà inoltre essere ammesso a far parte di una Congregazione di carità, qualora le venga fatto un dono o lascito, ed avuto riguardo alla rilevanza del medesimo, il benefattore o la persona da esso designata, per quanto riguarda la gestione di tale leberalità.

 

Art. 28.

Il residente è nominato dal Consiglio comunale e sta in ufficio quattro anni. 

Gli altri membri sono eletti dal Consiglio comunale nella tornata d’autunno; è ad essi applicabile l’articolo 6; assumono l’ufficio appena eletti; si rinnovano per quattro ogni anno, e sono sempre rieleggibili.

Nei primi tre anni la scadenza è determinata dalla sorte in appresso è determinata dall’anzianità.

 

Art. 29.

Le congregazioni di carità amministrano tutti i beni destinati genericamente a prò dei poveri in forza di legge, o quando nell’atto di fondazione non venga determinata l’Amministrazione, Opera pia o pubblico Stabilimento in cui favore sia disposto, o qualora la persona incaricata di ciò determinare non possa i non voglia accettare l’incarico.

Potrà però il Consiglio comunale, a beneficio dei cui abitanti è fatto il lascito, proporre anche in tali casi la istituzione di un’Amministrazione speciale, seguendo le norme degli articoli 4 e 28.

 

 

DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI.

 

Art. 30.

Le Opere pie che non abbiano a termini delle leggi interiori trasmesso al Prefetto l’inventario di cui all’articolo 9 della presente, dovranno entro un anno uniformarsi alla disposizione dell’articolo medesimo, trasmettendo ad un tempo una esatta relazione sull’origine e sull’oggetto della istituzione, sul modo col quale si provvede al suo mantenimento ed alla sua amministrazione, come pure sull’attuale sua condizione.

 

Art. 31.

Nelle antiche Provincie, nella Lombardia e nei Ducati rimarrà in vigore l’articolo 35 della legge 20 novembre 1859 per quanto non fosse ancora compiuto nella sua esecuzione.

Rimarranno ancora in vigore le disposizioni del Decreto Dittatoriale 27 novembre 1859 circa gli Ospizi civili di Parma e Piacenza.

 

Art. 32.

Nelle Provincie già Pontificie, là dove le Opere pie furono per Decreti dei Governatori e Commissari straordinari già riunite insieme sotto una sola Amministrazione, questa sarà surrogata da Amministrazioni speciali e dalle Congregazioni comunali di carità esistenti a norma degli articoli 27 e 28.

Le nuove Amministrazioni speciali saranno costituite con Decreto Reale, sentita la Deputazione provinciale, a norma dell’articolo 4. Fino a che non siasi a ciò provveduto, le Amministrazioni di cui sovra continueranno nelle loro funzioni.

Potrà la Deputazione provinciale, sentiti i Consigli comunali o la loro istanza, proporre ed ottenere mediante Decreto Reale che le Opere pie già riunite rimangano o per analogia di scopo o per ragioni economiche in tutto od in parte sotto una sola Amministrazione.

 

Art. 33.

Nelle Provincie Toscane le Amministrazioni esistenti saranno conservate a norma dell’articolo 4; e sarà provveduto pel rimanente alla formazione delle Congregazioni di carità secondo gli articoli 27 e 28.

Sino a che non siano create le Deputazioni provinciali permanenti, la tutela delle Opere pie rimarrà alla Prefettura.

 

Art. 34.

Nelle Provincie meridionali i Consigli degli Ospizi saranno disciolti e subentreranno ad essi le Deputazioni provinciali in tutto ciò che non è contrario alla presente legge.

Saranno disciolte parimente le Commissioni comunali di beneficienza, e saranno surrogate dalle Congregazioni di carità a norma degli articoli 27 e 28.

Queste, oltre l’amministrazione loro propria a norma dell’articolo 29, amministrano le Opere pie speciali che erano concentrate nelle mani delle Commissioni comunali di beneficenza sino a che, a proposta delle Deputazioni provinciali, sentiti anche i Consigli comunali o ad istanza loro, siasi con Decreto Reale provveduto alla costituzione delle Amministrazioni speciali delle Opere pie.

Sino al 1° gennaio 1865 i ratizzi imposti alle Opere pie continueranno a percepirsi dalla Deputazione provinciale ai soli oggetti seguenti:

1° Pagamento degli Impiegati addetti ai Consigli degli Ospizi, i quali potranno essere obbligati a prestare l’opera loro alla Deputazione provinciale;

2° Pagamento delle pensioni di diritto per quanto manca sulle rendite inscritte in testa dei Consigli degli Ospizi, le quali passano alle Deputazioni provinciali;

3° Sussidi fissi ad individui, con facoltà alla Deputazione provinciale di rivederne ed emendarne l’elenco.

I Consigli provinciali nella sessione del 1863 determineranno i modi coi quali provvedere agli oggetti sovraindicati.

Le deliberazioni relative a tale materia dovranno ricevere speciale approvazione governativa.

Il ratizzo generale imposto alle Opere pie per il fondo a beneficio del Morotrofio di Aversa e dell’Istituto di San Nicola alla strada passerà al 1° gennaio 1863 a carico del bilancio dello Stato sino a che sia diversamente disposto.

Sono approvati dal Ministro dell’Interno i conti consuntivi delle Opere pie consortili di due o più Provincie. Le Amministrazioni o Governi delle Opere pie, che attualmente dipendono direttamente dal Ministro dell’Interno, dipenderanno dal Prefetto della Provincia dove l’Opera pia ha sede, sentita la Deputazione provinciale; e ciò sino a che sia provveduto con legge speciale alla costituzione definitiva delle Opere pie medesime.

 

Art. 35.

Nelle Provincie Napoletane sono mantenute in vigore le disposizioni dei Decreti del 23 ottobre 1860 e del 17 febbraio 1861 limitative dell’ingerenza del clero nell’amministrazione delle Opere pie laicali.

 

Art. 36.

Non s’intenderanno in alcun caso richiamate in vita le Amministrazioni speciali che esistevano nelle diverse Provincie sotto i cessati Governi.

 

Art.37.

Con regolamenti approvati dal Re saranno stabilite le norme da seguirsi per ciò che concerne l’esecuzione della presente legge, ferme intanto le discipline vigenti.

 

Art. 38.

La presente legge andrà in vigore in tutto il Regno col 1° gennaio 1863, e cesseranno contemporaneamente di avere vigore le disposizioni legislative anteriormente vigenti nelle varie Provincie dello Stato sulle Opere pie. Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

 

 

Solo dopo l’emanazione della legge in Italia si pose mano ad una Inchiesta, che mirava a predisporre un censimento delle istituzioni di beneficenza per garantire uniformità amministrativa e regolarità a tutto il Regno. In Sicilia, inclusi gli istituti di credito, risultarono presenti 3.149 opere pie e lasciti laicali su un totale di 2.392.180 abitanti. Gli atti relativi all’isola furono pubblicati nel 1873.

 

Inoltre, nella relazione finale dell’Inchiesta sulle Condizioni sociali ed economiche della Sicilia, resa alla Camera il 3 luglio 1876, il deputato Bonfadini, dopo aver sottolineato l’importanza delle opere pie siciliane, auspicò una radicale riforma della beneficenza e dell’assistenza, in direzione di una maggiore diffusione sul territorio e di un più deciso impegno economico per il loro sostentamento da parte dello Stato.