Ignazio Buttitta

 

(Bagheria ,19 Settembre 1899-Bagheria, 5 Aprile 1997)

 

Ignazio Buttitta nasce a Bagheria, provincia di Palermo, il 19 settembre 1899 da una famiglia di commercianti. Conseguita la licenza elementare, lavora nella salumeria del padre fino al 1917 quando è chiamato alle armi e partecipa alla difesa del Piave. Ritornato in Sicilia, frequenta poeti e intellettuali del tempo. Nel 1922 è tra i fondatori del circolo di cultura «Giuseppe Turati», che pubblica il foglio settimanale “La povera gente”.Alla vigilia della Marcia su Roma, Buttitta è a capo di una sommossa popolare contro l’irrigidimento del dazio comunale, che gli costa l’arresto. Nel 1924, in occasione delle elezioni politiche, presenta la lista del Partito Socialista, ma aderisce immediatamente dopo al Partito Comunista, in cui milita fino alla fine. Nel 1923 esce la sua prima raccolta di versi dialettali: Sintimintali, e nel 1928 il poemetto Marabedda. Dal 1927 è condirettore, del mensile palermitano di letteratura dialettale «La trazzera», che viene soppresso nel 1929 dal Regime.. Nel 1943 Bagheria fu bombardata e Buttitta, per allontanare la famiglia dai pericoli della guerra, si trasferì a Codogno (Milano). Pensò di tornare da solo in Sicilia, ma lo sbarco anglo-americano gli impedì di attraversare lo stretto di Messina. Durante la permanenza in Lombardia partecipò alla lotta clandestina; fu arrestato due volte dai fascisti. Alla fine della guerra tornò in Sicilia, ma trovò i suoi magazzini di generi alimentari saccheggiati. Per vivere (aveva già 4 figli) fu costretto a tornare in Lombardia e a fare il rappresentante di commercio. Nel 1960 potè tornare a Bagheria (dove rimase fino alla morte)e la sua casa fu luogo d’incontro per poeti provenienti da tutte le parti del mondo.

 

Buttitta cominciò a pubblicare prima della guerra. La sua prima poesia antifascista fu pubblicata nel 1944, nel secondo numero di «Rinascita».

 

In lui è stato riscontrato un vigoroso impegno umano e sociale con un fondo di retorica che si accentua nelle raccolte posteriori agli anni ’60: “Lu pani si chiama pani”che ebbe la traduzione in versi di Salvatore Quasimodo e le illustrazioni di Renato Guttuso, “La peddi nova, “con prefazione di Carlo Levi, La paglia bruciata con prefazione di Roberto Roversi e nota di Cesare Zavattini, che rimangono le sue cose migliori. Sono seguite:” Io faccio il poeta “ con prefazione di Leonardo Sciascia e che ebbe il premio “Viareggio”, “Le pietre nere” e “ Il cortile degli Aragonesi “.