(Barcellona Pozzo di Gotto, 1826 – ? )
«Frutto degli illeciti amori di un tal Antonino Mazzeo, sensale di agrumi», Peppa la cannoniera è un personaggio mitico del Risorgimento siciliano la cui vita si confonde spesso alla leggenda. Sembra che sia stata cresciuta da un’anziana nutrice alla quale dovrebbe il suo nome, secondo un’altra versione sarebbe stata invece affidata alla Congregazione di Carità di Messina, prima di essere destinata ad una famiglia adottiva. Incerto è il suo aspetto – per alcuni di una bellezza folgorante per altri invece deturpata dal vaiolo- incerta anche la sua professione, forse serva di un oste o forse aiutante stalliera.
Le uniche cose certe sono la sua cattiva reputazione, dovuta anche ad una relazione clandestina con un ragazzo molto più giovane di lei e la sua partecipazione all’insurrezione catanese del 31 maggio 1860, durante la quale le squadre popolari guidate dal colonello Poulet riescono a tenere testa per sette ore al fuoco incalzante di oltre 2.000 soldati borbonici comandati dal Generale Clary. È proprio Peppa a distinguersi per due atti di valore, uno nei pressi di piazzetta Ogninella e l’altro in via Mazza che le fruttano persino una medaglia d’argento al valore militare.
Le gesta della pasionaria sono così raccontate: «Era già mezzogiorno, e gli insorti avevano quasi esaurito le munizioni, sicché il loro attacco incominciò ad infiacchire; di ciò si accorse il generale Clary, che cercò con una carica di cavalleria per la Via del Corso (l’attuale Via Vittorio Emanuele) di aggirare la destra dei suoi avversari. Giusto in quel punto, un gruppo di insorti, con alla testa Giuseppa Bolognara, sboccava in piazza San Placido dalla cantonata di Casa Mazza, trascinando il cannone guadagnato ai borbonici, per cercare di condurlo sul parterre di casa Biscari e lanciare qualche palla contro la nave di guerra che già bombardava la città, coadiuvata dal fuoco di due mortai posti sui torroni del Castello Ursino.
Appena però quei popolani sboccarono sulla Via del Corso, videro in fondo a Piazza Duomo due squadroni di lancieri che si apparecchiavano alla carica. Temendo d’essere presi, scaricarono all’improvviso i loro fucili, abbandonando il cannone già carico; ma Giuseppa Bolognara restò impavida al suo posto e con grande sangue freddo improvvisò uno stratagemma dando nuova prova del suo meraviglioso coraggio. Sparse della polvere sulla volata del cannone e attese tranquilla che la cavalleria caricasse; appena gli squadroni si mossero, essa diede fuoco alla polvere ed i cavalieri borbonici credettero il colpo avesse fatto cilecca prendendo soltanto fuoco la polvere del “focone”. Si slanciarono perciò alla carica, sicuri di riguadagnare il pezzo perduto: ma, appena avvicinatisi di pochi passi, la coraggiosa donna, che li attendeva a piè fermo, diede fuoco alla carica con grave danno degli assalitori, e riuscì a mettersi in salvo».
All’indomani di questa impresa la vita della Bolognari ritorna nell’oblio che ne aveva caratterizzato le prime fasi: alcuni raccontano che il Comune di Catania le abbia assegnato un vitalizio e che la donna rientrata a Messina dopo il 1876 e gravata dai debiti l’abbia ceduta ad alcuni usurai. Altre fonti preferiscono immaginarla felice e longeva concludere i suoi giorni in quella città etnea che avea contribuito a liberare.